Nonostante i governi europei si siano impegnati a promuovere la copertura sanitaria universale come parte dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, in molti paesi europei l’aggettivo “universale” non include alcuni gruppi di migranti e anche coloro che possono beneficiare di cure incontrano serie difficoltà ad accedervi per ostacoli linguistico-culturali e degli stessi prestatori di cure.
Gli obiettivi regionali sul controllo di malattie infettive come la tubercolosi, l’epatite e le malattie a prevenzione vaccinale non potranno essere raggiunti se non si crea un sistema sanitario veramente inclusivo. D’altra parte, se si ignora la necessità di includere questi gruppi di persone nell’accesso alle cure verranno messi a rischio gli sforzi effettuati per controllare la pandemia del Covid-19.
Esistono diversi esempi di buone pratiche, ma i bisogni della popolazione migrante non vengono sempre presi in considerazione. I decisori politici devono assicurare che ogni iniziativa di sanità pubblica consideri esplicitamente nei suoi piani i diversi gruppi di migranti presenti in Europa, compresa la diffusione delle informazioni in diverse lingue e in formati accessibili.
La diagnosi precoce e l’accesso alle cure per la tubercolosi, malattia che incide in grande proporzione in alcune popolazioni migranti, continueranno a essere difficili se questi gruppi non potranno registrarsi presso il sistema sanitario locale all’insorgere e all’acuirsi dei sintomi.
Nessuna emergenza pubblica può essere superata se non è garantito a tutti, compresi i migranti, l’accesso ai servizi sanitari in modo non discriminatorio.
Durante l’attuale pandemia di Covid-19 si stanno compiendo sforzi per dare sostegno ai rifugiati e agli sfollati nel mondo, ma questi sforzi si concentrano inevitabilmente in paesi a basso e medio reddito, in cui l’80% dei rifugiati si trova. I governi europei, molti dei quali stanno contribuendo a questi interventi globali, hanno invece il dovere di assicurare le cure ai migranti anche all’interno dei loro confini.
Come ha detto Filippo Grandi, alto commissario dell’ONU per i rifugiati:
È nostra responsabilità collettiva far sì che la risposta globale al Covid-19 includa tutti
È fondamentale che i migranti alloggiati nei campi e in altri contesti ad alto rischio in Europa vengano inclusi nei piani nazionali di sorveglianza e di risposta all’emergenza. Ci deve essere tolleranza zero verso comportamenti improntati alla xenofobia e al razzismo, tanto più nel momento di una pandemia globale (come quella del Covid-19 che stiamo vivendo), quando, come la storia ci ricorda, questi atteggiamenti diventano fin troppo comuni.
Institute for Infection and Immunity, St George’s University of London, London, UK
Bernadette N Kumar, professorNorwegian Institute of Public Health, Oslo, Norway
Martin McKee, professor of European public healthFaculty of Public Health and Policy, London School of Hygiene and Tropical Medicine, London, UK
Lucy Jones, director of programmesDoctors of the World, London, UK
Apostolos Veizis, director of the Medical Operational Support UnitMédecins Sans Frontières, Athens, Greece